sabato 12 dicembre 2009

Alcune esperienze di affido...

L'avventura di giulia!!!!
Quando è nata, Giulia non stava tanto bene; Carmen, la mamma, non era riuscita a smettere di assumere sostanze stupefacenti durante la gravidanza, anche se aveva desiderato con tutta se stessa di diventare mamma.
Carmen era giovanissima: aveva poco più di vent’anni ma avrebbe potuto scrivere un romanzo della sua storia così drammatica e difficile, piena di abbandoni e delusioni, di cadute e di riprese, di solitudine e dolore fin da quando era bambina, fino a quando la sua memoria riusciva ad arrivare. Alcuni periodi della sua vita erano stati così densi di sofferenza che neanche riusciva a ricordarli. Il compagno di Carmen, quando aveva saputo della gravidanza, era sparito, aveva cambiato aria; si era spaventato: non aveva proprio messo in conto di diventare padre, non certo adesso con tutte le cose che gli giravano per la testa! Aveva conosciuto Carmen là, nel luogo in cui quelli che come loro cercano di cancellare le angosce di ogni giorno, sanno dove andare; si ritrovavano tutte le sere e avevano deciso di tenersi compagnia, di scaldarsi quando il freddo raggiungeva le loro ossa e impietriva il loro cuore fino quasi a farlo smettere di pulsare; certo, però, non pensavano proprio di mettere su famiglia!
Poiché Carmen non era in condizioni di occuparsi della figlia, il Tribunale per i Minorenni aveva stabilito che la bimba, temporaneamente, non avrebbe potuto rientrare a casa con la sua mamma. Giulia sarebbe stata accolta da una famiglia affidataria; ai Servizi sociali e sanitari il Tribunale assegnava il compito di proporre alla mamma un percorso che l’avrebbe aiutata a prendere coscienza della sua condizione, ad affrontare e superare le difficoltà che le impedivano, ora, di prendersi cura della sua bambina.
Quando l’aveva saputo, Carmen aveva pianto e urlato, si era disperata, avrebbe voluto spaccare tutto. La sua mente ed il suo corpo si erano preparati ad accudire ed a nutrire la sua creatura ed ora qualcun altro, un’altra mamma, avrebbe abbracciato la sua Giulia, avrebbe consolato i suoi pianti, osservato i primi sorrisi. Non riusciva proprio ad accettarlo, anche se nel profondo di se stessa sapeva che a sua figlia avrebbe potuto dare ben poco, messa com’era. In un istante, le attraversarono la mente alcuni episodi della sua infanzia e il desiderio, ancora vivo, di braccia calde e sicure dentro alle quali abbandonarsi… Si era alla fine rassegnata, Carmen; altri avevano deciso per la sua bambina. Ma per la sua vita no, qualcosa poteva ancora decidere lei; aveva provato tante volte ad uscirne ma non ne era mai stata capace; sempre, la sua vita, l’aveva riportata là.
Ora però sentiva che era diverso dalle altre volte, che c’era più forza dentro di lei; la sua creatura aveva iniziato a cambiarla, potevano mettere insieme le energie, poteva almeno provarci, pensare che qualcuno l’avrebbe aiutata a credere, almeno per un momento, in lei. Forse, questa volta, Carmen avrebbe potuto farcela e Giulia tornare da lei, da una mamma un po’ più serena, un po’ meno fragile, rassicurante ed affettuosa, una mamma di cui essere fiera! Pochi giorni dopo la nascita di Giulia, l’assistente sociale Francesca aveva chiamato Flora e Claudio. Era da poco iniziata l’estate e tutti stavano facendo progetti e preparativi per le vacanze, anche la loro famiglia li stava facendo. Si sa, quando l’assistente sociale telefona, c’è sempre qualche novità; anche se l’aveva presa alla lontana "Come state? E’ da un po’ che non ci sentiamo, siete in partenza per le ferie?". Flora e Claudio sapevano cosa stava loro per chiedere; d’altra parte non era la prima volta visto che avevano già accolto altri tre bimbi piccoli nella loro famiglia: due erano rientrati presso i loro genitori naturali, mentre uno lo avevano accompagnato verso la famiglia che lo avrebbe adottato. Erano state esperienze molto diverse tra loro, molto impegnative e talvolta faticose, ma intense, coinvolgenti e preziose per Flora, Claudio ed i loro due figli, che avevano nuovamente offerto la loro disponibilità ad accogliere un bimbo o una bimba. Sapevano bene che era solo per il tempo necessario al tribunale per decidere se i piccoli potevano rientrare con la loro famiglia o andare in adozione. "Allora Francesca, ci conosciamo da molto tempo, che cosa vuoi dirci?" aveva chiesto Flora, impaziente, all’assistente sociale.
E così una nuova storia era iniziata, le storie di Giulia e della famiglia di Flora e Claudio si erano incontrate. Sapevano che i loro programmi estivi si dovevano modificare, che i mesi successivi si sarebbero organizzati in funzione della nuova arrivata; era necessario garantirle l’affetto, le cure e la stabilità di cui aveva bisogno e consentirle di incontrare con frequenza mamma Carmen che, nel frattempo, aveva iniziato un percorso faticoso ma pieno di speranza. Ne valeva la pena, sarebbe stata comunque un’estate meravigliosa.
Forse, questa volta, Carmen potrà farcela e la sua bimba tornare da lei, da una mamma più serena, un po’ meno fragile, rassicurante ed affettuosa, una mamma di cui essere fiera! E poi Giulia è una bambina, proprio come aveva sognato in gravidanza, una bambina alla quale provare a restituire quello che lei, da piccola, non aveva mai ricevuto. E quel nome così bello e dolce l’aveva scelto perché le ricordava, quella volta che, al centro diurno, era tornata piangendo e la signorina Giulia l’aveva abbracciata forte, consolata ed accarezzata sulla testa, come una mamma.
Anche Flora e Claudio vogliono bene a Giulia come una mamma ed un papà ma non vogliono portargliela via; l’accompagneranno per un pezzo della sua vita, scriveranno con lei il primo capitolo della sua storia e l’aiuteranno a voler bene ancora di più a Carmen.
fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/carmen.htm

Jacopo!!
Lei non vedeva l'ora che nascesse il suo bambino, dopo anni di attesa e nove mesi di "cova" che sembrava non finissero mai, durante i quali tra l'altro aveva anche rischiato di perderlo.
Causa il lavoro, la corsa, la fretta: mai fermarsi, questo è l'imperativo e, "se proprio si deve - avevano subito sottolineato in azienda - almeno che tutto sia a posto..." Comunque, dopo tre mesi a letto, le continue raccomandazioni del medico e altre peripezie, il momento del parto si avvicinava: lui e lei, soli, in attesa del felice evento. Soli perché la rete parentale aveva strappi, lei aveva perso i suoi genitori in un incidente stradale e lui, non più giovane, aveva invece accompagnato i suoi nella difficile decisione di accettare un aiuto in casa: una "badante".
In più l'"atteso" non voleva proprio nascere: giunto il termine previsto dal medico, il ricovero si era reso necessario, e lui … niente, nessun segnale. La madre, su e giù per le scale in ospedale (dicevano che avrebbe facilitato l'evento) e lui... niente.
Poi, d'improvviso, una sera, clic: si rompono le acque. Niente travaglio, acque scure: di corsa in sala parto per il cesareo.
E poi la gioia! Un giorno dopo l'altro scorrevano i minuti, le ore: il ritorno a casa si faceva sempre più vicino. Poter gestire il proprio bimbo da soli: che bello! Con il nido c'era stato qualche incomprensione, ma lei ci teneva così tanto a tenere Jacopo accanto a sé... Al mattino del giorno previsto per le dimissioni la sorpresa.
Si era già accorta durante la notte che qualcosa non andava, ma al mattino la certezza: quella gamba gonfia e grossa come quella di un elefante. No, non era certo normale.
L'infermiera aveva chiamato la caposala, la caposala il medico, il medico il primario e tutti giravano intorno al suo letto finché il capo prese la situazione in mano e le lesse la sentenza: "È una trombosi venosa profonda, signora. È una complicanza, un evento imprevedibile; sicuramente non può alzarsi dal letto, figuriamoci tornare a casa! La sposteremo di reparto per curarla meglio..". "E il mio bambino?", "Non ha nessuno che può occuparsi di lui?"
"Beh, no … pensando al papà in ansia per me e preso dai suoi mille impegni..." "Cosa fare?". Il pensiero non la lasciava mai mentre le lacrime accompagnavano costantemente la sua giornata.
Ne parlò con il suo compagno e si risolse di chiedere aiuto ad una sua amica che lavorava lì, in ospedale. "Ho sentito da te tante volte di persone che aiutano i bambini e i loro genitori..."
E così l'amica le parlò di questa possibilità di cui era a conoscenza e le inviò l'assistente sociale che lavorava in ospedale.
"Ma che dici, troverò qualcuno disposto a darmi/darci una mano? Io non ho nessuno che può aiutarci in questo momento … Nessuno di cui posso fidarmi..."
"Non preoccuparti, conosco io una persona, è un'infermiera, è molto brava con i bambini. Vive da sola, ne ha già tenuti diversi, alcuni anche malati o disabili: le chiederò se è disponibile tramite la collega che segue gli affidamenti familiari".
"E che cosa sono questi affidamenti?" "Sono un modo per non far soffrire i bambini quando i genitori sono in difficoltà..."
"Ma poi tornano a casa, vero? Il mio bambino non rischio di "perderlo"?"
"No, se tu e il papà siete d'accordo si definisce "consensuale" e durerà per il tempo strettamente necessario a risolvere i tuoi problemi. È meglio se lo formalizziamo, così la signora che si occuperà del tuo bimbo potrà anche avere un rimborso spese e una copertura assicurativa … Non si sa mai!".
Lei ci pensò e ripensò, tutto il giorno e anche la notte, là nel suo letto da cui non poteva scendere e il giorno dopo, insieme al suo compagno prese la decisione: "Ma sì, facciamo questo affido, fidiamoci, prendiamo in prestito una famiglia per il nostro bambino".
Il suo ricovero durò 40 giorni, durante i quali non riuscì mai a rivedere Jacopo. Il papà le parlava di lui, di come cresceva bene, delle dormite, dei ruttini, delle canzoncine e dei carillon. Le foto che le portava erano un filo della memoria, una speranza per il futuro e le tenevano compagnia.
Anche l'assistente sociale le portava notizie: era un po' una novità per lei un affidamento così breve per una situazione così particolare, ma era contenta di avere evitato al bimbo una lunga permanenza in ospedale. Non è quello il posto più adatto per i neonati!
Molto meglio una casa e due braccia calorose pronte ad accogliere per calmare il pianto e due occhi per scrutare l'anima e allargare lo sguardo intorno
Appena tornata a casa, Jacopo la accolse con... un bel pianto: ma chi era quella sconosciuta che lo stringeva e lo baciava?
Poi, le cose ripresero il loro corso: lei, con "l'affidataria", continuò a vedersi, diventarono persino amiche e Jacopo crebbe con due mamme, una "sua" e una che si era "prestata" a fare la mamma "di scorta"!
Fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/iacopo.htm

Franco e gianni!!
Franco e Gianni sono fratelli, hanno tre anni di differenza e Franco, il fratello maggiore, si sente molto responsabile di Gianni.
Le maestre delle scuole che frequentano li segnalano ai Servizi Sociali a causa delle gravi trascuratezze di cui sono oggetto: sono vestiti in modo inadeguato rispetto alla stagione, non sono curati nell'igiene personale ed hanno spesso i pidocchi.
La mamma riferisce alle insegnanti che il marito è disoccupato e non riesce a sbarcare il lunario con le poche ore di pulizie che riesce a fare nell'arco della settimana.
La situazione precipita quando, a causa della morosità accumulata, la famiglia viene sfrattata dall'alloggio in cui abita. I Servizi sociali collocano la famiglia, a spese del Comune, in una pensione e questo consente agli operatori di comprendere meglio cosa succede all'interno del nucleo familiare. Viene alla luce la dipendenza dall'alcol del capofamiglia e le scene di violenza contro la moglie, a cui i figli assistono loro malgrado.
La donna non è però in grado di difendere se stessa ed i bambini da questa situazione e non ha neppure la forza di separarsi dal coniuge.
Le condizioni dei bambini peggiorano anche sul versante psicologico: a scuola sono molto aggressivi con i compagni, le insegnanti non riescono a contenerli, avrebbero bisogno di un sostegno psicologico a cui i genitori, però, non li accompagnano.
Il Tribunale per i Minorenni decreta allora l'inserimento dei bambini in comunità affinché possano trovare un ambiente accogliente e sereno in cui dimenticare il conflitto e le violenze dei genitori e dove sia possibile intraprendere, grazie all'accompagnamento degli educatori, un percorso di sostegno psicologico.
I genitori di Franco e Gianni non accettano questa decisione del Tribunale, fanno ricorso e non vogliono attenersi alle prescrizioni del Giudice relative alla necessità che essi si rivolgano a dei Servizi sanitari specialistici affinché li aiutino a superare le loro difficoltà di relazione e la dipendenza da alcool, poiché ritengono di essere oggetto di accuse ingiuste ed infondate da parte degli insegnanti e degli operatori sociali.
Il Tribunale nomina un consulente tecnico d'ufficio perché approfondisca la situazione in modo neutrale, tuttavia i due genitori non collaborano neppure con lui.
Quindi, passati gli anni, il Tribunale per i Minorenni decreta che, non potendo rientrare presso la famiglia d'origine a causa della situazione immutata degli adulti, i due ragazzi debbano essere inseriti presso una famiglia affidataria.
Essi però sono ormai cresciuti e frequentano la scuola media, il loro legame, a causa delle vicende familiari si è consolidato e rafforzato come succede ai naufraghi che si tengono a galla insieme.
Franco continua a sentirsi responsabile di Gianni e si preoccupa per lui: non è possibile separarli, debbono andare in affidamento insieme!
Non è facile trovare una famiglia affidataria che accolga due minori contemporaneamente e per giunta alle soglie dell'adolescenza. Inoltre i genitori sono contrari al fatto che i loro figli entrino a far parte di una nuova famiglia e che possano affezionarsi ad un altro papà e ad un'altra mamma. E' quindi necessario che i genitori affidatari sappiano entrare in relazione con i due ragazzi senza provocare sentimenti di competizione nella loro famiglia d'origine e che siano in grado di accoglierli senza nutrire o esprimere giudizi negativi nei confronti dei loro genitori.
Per tutti questi motivi si pensa ad un inserimento presso una famiglia affidataria “esperta”, che abbia già avuto minori in affidamento ed abbia imparato quali sono le dinamiche che i genitori naturali mettono in atto quando pensano che non sia giusto che i loro figli debbano crescere a casa d'altri e come queste possano minare il buon andamento dell'affidamento, viene quindi scelta una famiglia-comunità.
La famiglia-comunità è una famiglia affidataria che ha almeno due anni di esperienza ed ha deciso di aprire la propria casa all'accoglienza ad un minimo tre minori contemporaneamente.
Franco e Gianni legano subito con i nuovi genitori, persone con figli ormai adulti, e che accolgono affettuosamente i due ragazzi.
Passano gli anni, la relazione affettiva con la famiglia affidataria si è consolidata ed anche i genitori sono passati dalla diffidenza iniziale alla fiducia nei confronti di chi sta aiutando i loro figli a crescere. I ragazzi frequentano le scuole superiori, hanno imparato a comprendere ed accettare i limiti dei propri genitori e possono così trascorrere con loro il fine settimana in attesa di essere autonomi e tornare definitivamente a casa.
Fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/franco.htm

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