sabato 12 dicembre 2009

.....la svolta!!!..un passo difficile da compiere...non sempre si riesce a stare di fronte al cambiamento!

Matthias e la sua mamma!!!...

È il giugno del 2003 quando Matthias viene al mondo: la sua mamma, una donna di ventidue anni, aveva alle spalle un passato di fallimenti familiari e personali; i genitori si erano separati quando lei aveva solo otto anni e da allora Maria aveva incominciato a sentirsi diversa perché nessuno si occupava di lei. A scuola non andava quasi mai, perché nessuno l’accompagnava; quelle poche volte che le capitava di salire in classe si sentiva un’aliena: tutti gli altri bambini avevano quaderni per fare i compiti e i libri su cui studiare; lei no, lei era semplicemente “fuori posto”, con pensieri che incessantemente vagavano per fissarsi dentro un'altra casa, la sua, dove la mamma, tra un bicchiere e l’altro si trascinava e, quando la sbornia finiva, esplodeva di rabbia verso suo marito che l’aveva tradita e abbandonata e verso lei e le sue sorelle “bocche da sfamare”. Non c’era giorno in cui la collera non l’assalisse, frammista a un disperato bisogno di affetto e di speranza; magari papà, un giorno, sarebbe potuto tornare per stare insieme; oppure la zia, l’amica o una vicina avrebbero potuto aiutare la mamma a farla smettere di bere e a trovare un lavoro.
Quando Maria fu allontana da casa per essere ospitata in una comunità, questa rabbia e insoddisfazione avevano superato ogni limite; non c’era verso di poterla aiutare perché lei rigettava ogni aiuto: voleva solo tornare a casa e basta.
Tutti gli sforzi profusi dagli educatori non sortirono che un unico effetto, quello di renderla ancora più legata e dipendente in tutto e per tutto dal suo contesto familiare, che in realtà nulla era in grado di offrirle.
Quando rientra in casa, ormai adolescente, si rende fatalmente conto che c’è un vuoto intorno a lei, non una carezza, non un’attenzione, non un consiglio, non un rimprovero.
Alcool e droga leniscono lo stato di sofferenza esistenziale, anestetizzano il senso di esistere; almeno, “fatta di sostanza” non si sente di dover appartenere a nessuno e di dover aspettarsi qualcosa dagli altri. E, poi, se i soldi non ci sono, o i portafogli dei familiari incominciano ad essere provocatoriamente senza denaro, non c è problema; rimane sempre la stazione in cui si trova sempre qualcuno che può dare i soldi che occorrono per acquistare ciò che fa stare veramente bene.
Così passano gli uomini e gli anni; inspiegabilmente Maria rimane incinta; pensa dapprima di abortire poi la mamma la convince a desistere ed il bambino diventa per lei da impiccio una ragione di riscatto; qualcosa di giusto dopo molte esperienze sbagliate.
Matthias nasce con la sindrome di astinenza neonatale; viene segnalato al Tribunale per i Minorenni e, dopo due mesi viene inserito in una famiglia del Progetto Neonati (affidamenti di bambini piccolissimi); la mamma ha sei mesi di tempo per poter dare una svolta decisiva alla sua vita.
Si fanno avanti le sorelle; una di loro chiede l’affido del piccino che nel frattempo cresce amorevolmente accudito dalla famiglia affidataria.
Nel frattempo, Maria che non si aspettava che il bambino fosse allontanato da lei, in rotta con la madre e le sorelle, riprende i contatti con il suo giro di “vecchie amicizie”.
Dopo un ennesimo fermo operato dalla polizia, viene posta di fronte ad un aut-aut da parte degli operatori del Servizio per le tossicodipendenze; se tiene al bambino questo è il momento per dimostralo davvero: deve lasciare la vita sbandata ed entrare in una comunità terapeutica: all’ultimo, quando sta per scadere il termine fissato dal Tribunale, la giovane accetta di entrare in una struttura comunitaria.
Qui smette di assumere alcool ed eroina; inizialmente ha un comportamento riluttante verso il contesto e le sue regole poi, frequentando il gruppo di sostegno, prende coscienza che, forse, questa volta, ce la può fare a gestire la sofferenza e l’incertezza di sé, la fragilità dei suoi sentimenti.
Quando Matthias la raggiunge in comunità ha più di un anno e mezzo ; è passato dalle mani della famiglia del “Progetto Neonati” a quelle della zia materna ed ora le mani della mamma sono pronte ad accoglierlo. E’ un’esperienza nuova per entrambi; per Maria è la scoperta di una dimensione di dedizione che non aveva mai avuto modo di sperimentare; lo guarda camminare, correre con gli altri bambini, mangiare la pappa, mentre gli fa il bagnetto e poi se lo tiene tra le braccia quando piange, lo rassicura quando non dorme.
Dopo qualche mese, sempre più fiduciosa delle proprie possibilità, con l’ aiuto delle educatrici trova un lavoro part-time. Ha un debito in denaro enorme con la comunità ma poco per volta non solo il debito si assottiglia fino a scomparire ma riesce a mettere da parte un piccolo gruzzoletto.
A questo punto gli operatori possono proporle un ultimo passaggio; quello della comunità di autonomia. Maria accetta ed entra con il bambino nella nuova struttura; tutto sembra destinato a risolversi nel migliore dei modi … invece, non è così.
La giovane dopo pochi giorni inizia ad addurre scuse, ad inventare falsità; di fatto non si reca al nuovo lavoro né accompagna il bambino alla scuola materna: è sempre in uno stato di alterazione nei confronti di Matthias, non si cura di lui; in casa c’è sempre più disordine, montagne di abiti da lavare, e sempre più spesso si fa colazione all’ora di pranzo oppure si consuma un solo pasto in tutto il giorno fino a che non viene trovato in un cassetto un flaconcino di metadone . È la prova che qualcosa non va, che Maria ha ripreso a far uso di sostanze.
Mentre la si riaccompagna nella comunità terapeutica, Maria è presa dalla disperazione non a causa della superficialità dei suoi comportamenti ma perché il giovane con cui ha intessuto una relazione sentimentale la vuole lasciare e conferma che non l’attenderà per alcun motivo.
Dopo pochi giorni, Maria lascia la comunità terapeutica per potersi ricongiungere con lui.
Il bambino resta lì dove ha trascorso con la madre due anni della sua piccolissima vita .
Il Tribunale decreta che egli venga inserito al più presto in una famiglia avente i requisiti per l’adozione e Matthias dopo poche settimane viene accolto in una famiglia dove tutt’ora si trova.
Fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/matthias.htm

Alcune esperienze di affido...

L'avventura di giulia!!!!
Quando è nata, Giulia non stava tanto bene; Carmen, la mamma, non era riuscita a smettere di assumere sostanze stupefacenti durante la gravidanza, anche se aveva desiderato con tutta se stessa di diventare mamma.
Carmen era giovanissima: aveva poco più di vent’anni ma avrebbe potuto scrivere un romanzo della sua storia così drammatica e difficile, piena di abbandoni e delusioni, di cadute e di riprese, di solitudine e dolore fin da quando era bambina, fino a quando la sua memoria riusciva ad arrivare. Alcuni periodi della sua vita erano stati così densi di sofferenza che neanche riusciva a ricordarli. Il compagno di Carmen, quando aveva saputo della gravidanza, era sparito, aveva cambiato aria; si era spaventato: non aveva proprio messo in conto di diventare padre, non certo adesso con tutte le cose che gli giravano per la testa! Aveva conosciuto Carmen là, nel luogo in cui quelli che come loro cercano di cancellare le angosce di ogni giorno, sanno dove andare; si ritrovavano tutte le sere e avevano deciso di tenersi compagnia, di scaldarsi quando il freddo raggiungeva le loro ossa e impietriva il loro cuore fino quasi a farlo smettere di pulsare; certo, però, non pensavano proprio di mettere su famiglia!
Poiché Carmen non era in condizioni di occuparsi della figlia, il Tribunale per i Minorenni aveva stabilito che la bimba, temporaneamente, non avrebbe potuto rientrare a casa con la sua mamma. Giulia sarebbe stata accolta da una famiglia affidataria; ai Servizi sociali e sanitari il Tribunale assegnava il compito di proporre alla mamma un percorso che l’avrebbe aiutata a prendere coscienza della sua condizione, ad affrontare e superare le difficoltà che le impedivano, ora, di prendersi cura della sua bambina.
Quando l’aveva saputo, Carmen aveva pianto e urlato, si era disperata, avrebbe voluto spaccare tutto. La sua mente ed il suo corpo si erano preparati ad accudire ed a nutrire la sua creatura ed ora qualcun altro, un’altra mamma, avrebbe abbracciato la sua Giulia, avrebbe consolato i suoi pianti, osservato i primi sorrisi. Non riusciva proprio ad accettarlo, anche se nel profondo di se stessa sapeva che a sua figlia avrebbe potuto dare ben poco, messa com’era. In un istante, le attraversarono la mente alcuni episodi della sua infanzia e il desiderio, ancora vivo, di braccia calde e sicure dentro alle quali abbandonarsi… Si era alla fine rassegnata, Carmen; altri avevano deciso per la sua bambina. Ma per la sua vita no, qualcosa poteva ancora decidere lei; aveva provato tante volte ad uscirne ma non ne era mai stata capace; sempre, la sua vita, l’aveva riportata là.
Ora però sentiva che era diverso dalle altre volte, che c’era più forza dentro di lei; la sua creatura aveva iniziato a cambiarla, potevano mettere insieme le energie, poteva almeno provarci, pensare che qualcuno l’avrebbe aiutata a credere, almeno per un momento, in lei. Forse, questa volta, Carmen avrebbe potuto farcela e Giulia tornare da lei, da una mamma un po’ più serena, un po’ meno fragile, rassicurante ed affettuosa, una mamma di cui essere fiera! Pochi giorni dopo la nascita di Giulia, l’assistente sociale Francesca aveva chiamato Flora e Claudio. Era da poco iniziata l’estate e tutti stavano facendo progetti e preparativi per le vacanze, anche la loro famiglia li stava facendo. Si sa, quando l’assistente sociale telefona, c’è sempre qualche novità; anche se l’aveva presa alla lontana "Come state? E’ da un po’ che non ci sentiamo, siete in partenza per le ferie?". Flora e Claudio sapevano cosa stava loro per chiedere; d’altra parte non era la prima volta visto che avevano già accolto altri tre bimbi piccoli nella loro famiglia: due erano rientrati presso i loro genitori naturali, mentre uno lo avevano accompagnato verso la famiglia che lo avrebbe adottato. Erano state esperienze molto diverse tra loro, molto impegnative e talvolta faticose, ma intense, coinvolgenti e preziose per Flora, Claudio ed i loro due figli, che avevano nuovamente offerto la loro disponibilità ad accogliere un bimbo o una bimba. Sapevano bene che era solo per il tempo necessario al tribunale per decidere se i piccoli potevano rientrare con la loro famiglia o andare in adozione. "Allora Francesca, ci conosciamo da molto tempo, che cosa vuoi dirci?" aveva chiesto Flora, impaziente, all’assistente sociale.
E così una nuova storia era iniziata, le storie di Giulia e della famiglia di Flora e Claudio si erano incontrate. Sapevano che i loro programmi estivi si dovevano modificare, che i mesi successivi si sarebbero organizzati in funzione della nuova arrivata; era necessario garantirle l’affetto, le cure e la stabilità di cui aveva bisogno e consentirle di incontrare con frequenza mamma Carmen che, nel frattempo, aveva iniziato un percorso faticoso ma pieno di speranza. Ne valeva la pena, sarebbe stata comunque un’estate meravigliosa.
Forse, questa volta, Carmen potrà farcela e la sua bimba tornare da lei, da una mamma più serena, un po’ meno fragile, rassicurante ed affettuosa, una mamma di cui essere fiera! E poi Giulia è una bambina, proprio come aveva sognato in gravidanza, una bambina alla quale provare a restituire quello che lei, da piccola, non aveva mai ricevuto. E quel nome così bello e dolce l’aveva scelto perché le ricordava, quella volta che, al centro diurno, era tornata piangendo e la signorina Giulia l’aveva abbracciata forte, consolata ed accarezzata sulla testa, come una mamma.
Anche Flora e Claudio vogliono bene a Giulia come una mamma ed un papà ma non vogliono portargliela via; l’accompagneranno per un pezzo della sua vita, scriveranno con lei il primo capitolo della sua storia e l’aiuteranno a voler bene ancora di più a Carmen.
fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/carmen.htm

Jacopo!!
Lei non vedeva l'ora che nascesse il suo bambino, dopo anni di attesa e nove mesi di "cova" che sembrava non finissero mai, durante i quali tra l'altro aveva anche rischiato di perderlo.
Causa il lavoro, la corsa, la fretta: mai fermarsi, questo è l'imperativo e, "se proprio si deve - avevano subito sottolineato in azienda - almeno che tutto sia a posto..." Comunque, dopo tre mesi a letto, le continue raccomandazioni del medico e altre peripezie, il momento del parto si avvicinava: lui e lei, soli, in attesa del felice evento. Soli perché la rete parentale aveva strappi, lei aveva perso i suoi genitori in un incidente stradale e lui, non più giovane, aveva invece accompagnato i suoi nella difficile decisione di accettare un aiuto in casa: una "badante".
In più l'"atteso" non voleva proprio nascere: giunto il termine previsto dal medico, il ricovero si era reso necessario, e lui … niente, nessun segnale. La madre, su e giù per le scale in ospedale (dicevano che avrebbe facilitato l'evento) e lui... niente.
Poi, d'improvviso, una sera, clic: si rompono le acque. Niente travaglio, acque scure: di corsa in sala parto per il cesareo.
E poi la gioia! Un giorno dopo l'altro scorrevano i minuti, le ore: il ritorno a casa si faceva sempre più vicino. Poter gestire il proprio bimbo da soli: che bello! Con il nido c'era stato qualche incomprensione, ma lei ci teneva così tanto a tenere Jacopo accanto a sé... Al mattino del giorno previsto per le dimissioni la sorpresa.
Si era già accorta durante la notte che qualcosa non andava, ma al mattino la certezza: quella gamba gonfia e grossa come quella di un elefante. No, non era certo normale.
L'infermiera aveva chiamato la caposala, la caposala il medico, il medico il primario e tutti giravano intorno al suo letto finché il capo prese la situazione in mano e le lesse la sentenza: "È una trombosi venosa profonda, signora. È una complicanza, un evento imprevedibile; sicuramente non può alzarsi dal letto, figuriamoci tornare a casa! La sposteremo di reparto per curarla meglio..". "E il mio bambino?", "Non ha nessuno che può occuparsi di lui?"
"Beh, no … pensando al papà in ansia per me e preso dai suoi mille impegni..." "Cosa fare?". Il pensiero non la lasciava mai mentre le lacrime accompagnavano costantemente la sua giornata.
Ne parlò con il suo compagno e si risolse di chiedere aiuto ad una sua amica che lavorava lì, in ospedale. "Ho sentito da te tante volte di persone che aiutano i bambini e i loro genitori..."
E così l'amica le parlò di questa possibilità di cui era a conoscenza e le inviò l'assistente sociale che lavorava in ospedale.
"Ma che dici, troverò qualcuno disposto a darmi/darci una mano? Io non ho nessuno che può aiutarci in questo momento … Nessuno di cui posso fidarmi..."
"Non preoccuparti, conosco io una persona, è un'infermiera, è molto brava con i bambini. Vive da sola, ne ha già tenuti diversi, alcuni anche malati o disabili: le chiederò se è disponibile tramite la collega che segue gli affidamenti familiari".
"E che cosa sono questi affidamenti?" "Sono un modo per non far soffrire i bambini quando i genitori sono in difficoltà..."
"Ma poi tornano a casa, vero? Il mio bambino non rischio di "perderlo"?"
"No, se tu e il papà siete d'accordo si definisce "consensuale" e durerà per il tempo strettamente necessario a risolvere i tuoi problemi. È meglio se lo formalizziamo, così la signora che si occuperà del tuo bimbo potrà anche avere un rimborso spese e una copertura assicurativa … Non si sa mai!".
Lei ci pensò e ripensò, tutto il giorno e anche la notte, là nel suo letto da cui non poteva scendere e il giorno dopo, insieme al suo compagno prese la decisione: "Ma sì, facciamo questo affido, fidiamoci, prendiamo in prestito una famiglia per il nostro bambino".
Il suo ricovero durò 40 giorni, durante i quali non riuscì mai a rivedere Jacopo. Il papà le parlava di lui, di come cresceva bene, delle dormite, dei ruttini, delle canzoncine e dei carillon. Le foto che le portava erano un filo della memoria, una speranza per il futuro e le tenevano compagnia.
Anche l'assistente sociale le portava notizie: era un po' una novità per lei un affidamento così breve per una situazione così particolare, ma era contenta di avere evitato al bimbo una lunga permanenza in ospedale. Non è quello il posto più adatto per i neonati!
Molto meglio una casa e due braccia calorose pronte ad accogliere per calmare il pianto e due occhi per scrutare l'anima e allargare lo sguardo intorno
Appena tornata a casa, Jacopo la accolse con... un bel pianto: ma chi era quella sconosciuta che lo stringeva e lo baciava?
Poi, le cose ripresero il loro corso: lei, con "l'affidataria", continuò a vedersi, diventarono persino amiche e Jacopo crebbe con due mamme, una "sua" e una che si era "prestata" a fare la mamma "di scorta"!
Fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/iacopo.htm

Franco e gianni!!
Franco e Gianni sono fratelli, hanno tre anni di differenza e Franco, il fratello maggiore, si sente molto responsabile di Gianni.
Le maestre delle scuole che frequentano li segnalano ai Servizi Sociali a causa delle gravi trascuratezze di cui sono oggetto: sono vestiti in modo inadeguato rispetto alla stagione, non sono curati nell'igiene personale ed hanno spesso i pidocchi.
La mamma riferisce alle insegnanti che il marito è disoccupato e non riesce a sbarcare il lunario con le poche ore di pulizie che riesce a fare nell'arco della settimana.
La situazione precipita quando, a causa della morosità accumulata, la famiglia viene sfrattata dall'alloggio in cui abita. I Servizi sociali collocano la famiglia, a spese del Comune, in una pensione e questo consente agli operatori di comprendere meglio cosa succede all'interno del nucleo familiare. Viene alla luce la dipendenza dall'alcol del capofamiglia e le scene di violenza contro la moglie, a cui i figli assistono loro malgrado.
La donna non è però in grado di difendere se stessa ed i bambini da questa situazione e non ha neppure la forza di separarsi dal coniuge.
Le condizioni dei bambini peggiorano anche sul versante psicologico: a scuola sono molto aggressivi con i compagni, le insegnanti non riescono a contenerli, avrebbero bisogno di un sostegno psicologico a cui i genitori, però, non li accompagnano.
Il Tribunale per i Minorenni decreta allora l'inserimento dei bambini in comunità affinché possano trovare un ambiente accogliente e sereno in cui dimenticare il conflitto e le violenze dei genitori e dove sia possibile intraprendere, grazie all'accompagnamento degli educatori, un percorso di sostegno psicologico.
I genitori di Franco e Gianni non accettano questa decisione del Tribunale, fanno ricorso e non vogliono attenersi alle prescrizioni del Giudice relative alla necessità che essi si rivolgano a dei Servizi sanitari specialistici affinché li aiutino a superare le loro difficoltà di relazione e la dipendenza da alcool, poiché ritengono di essere oggetto di accuse ingiuste ed infondate da parte degli insegnanti e degli operatori sociali.
Il Tribunale nomina un consulente tecnico d'ufficio perché approfondisca la situazione in modo neutrale, tuttavia i due genitori non collaborano neppure con lui.
Quindi, passati gli anni, il Tribunale per i Minorenni decreta che, non potendo rientrare presso la famiglia d'origine a causa della situazione immutata degli adulti, i due ragazzi debbano essere inseriti presso una famiglia affidataria.
Essi però sono ormai cresciuti e frequentano la scuola media, il loro legame, a causa delle vicende familiari si è consolidato e rafforzato come succede ai naufraghi che si tengono a galla insieme.
Franco continua a sentirsi responsabile di Gianni e si preoccupa per lui: non è possibile separarli, debbono andare in affidamento insieme!
Non è facile trovare una famiglia affidataria che accolga due minori contemporaneamente e per giunta alle soglie dell'adolescenza. Inoltre i genitori sono contrari al fatto che i loro figli entrino a far parte di una nuova famiglia e che possano affezionarsi ad un altro papà e ad un'altra mamma. E' quindi necessario che i genitori affidatari sappiano entrare in relazione con i due ragazzi senza provocare sentimenti di competizione nella loro famiglia d'origine e che siano in grado di accoglierli senza nutrire o esprimere giudizi negativi nei confronti dei loro genitori.
Per tutti questi motivi si pensa ad un inserimento presso una famiglia affidataria “esperta”, che abbia già avuto minori in affidamento ed abbia imparato quali sono le dinamiche che i genitori naturali mettono in atto quando pensano che non sia giusto che i loro figli debbano crescere a casa d'altri e come queste possano minare il buon andamento dell'affidamento, viene quindi scelta una famiglia-comunità.
La famiglia-comunità è una famiglia affidataria che ha almeno due anni di esperienza ed ha deciso di aprire la propria casa all'accoglienza ad un minimo tre minori contemporaneamente.
Franco e Gianni legano subito con i nuovi genitori, persone con figli ormai adulti, e che accolgono affettuosamente i due ragazzi.
Passano gli anni, la relazione affettiva con la famiglia affidataria si è consolidata ed anche i genitori sono passati dalla diffidenza iniziale alla fiducia nei confronti di chi sta aiutando i loro figli a crescere. I ragazzi frequentano le scuole superiori, hanno imparato a comprendere ed accettare i limiti dei propri genitori e possono così trascorrere con loro il fine settimana in attesa di essere autonomi e tornare definitivamente a casa.
Fonte: http://www.comune.torino.it/casaffido/storie/franco.htm

venerdì 20 novembre 2009

percorso della famiglia affidataria!!!!!

Il percorso (secondo la nuova Direttiva della regione Emilia Romagna) che la famiglia affidataria deve compiere per poter essere idonea all’accoglienza del bambino si articola in tre fasi:
•Prima Informazione
•Preparazione e Formazione
•Percorso di Conoscenza e Valutazione della Disponibilità

Prima Informazione:
I servizi sociali o i centri per le famiglie devono, in tempi brevi, assicurare alle persone interessate la possibilità di avere un primo incontro informativo; di norma è svolto da un assistente sociale, adeguatamente preparato, che provvederà ad inviare le persone interessate ai corsi di preparazione. È importante aggiungere che le azioni informative possono essere svolte anche dalle associazioni delle famiglie affidatarie presenti nel territorio. Esiste infatti tutta una rete di associazioni di volontariato che orbita attorno alla tematica dell’affido, collaborando con i servizi sociali soprattutto nell’opera di sensibilizzazione pubblica e sostenendo, grazie ai gruppi di mutuo-aiuto, le famiglie affidatarie in difficoltà.

Preparazione e Formazione:
La preparazione dei nuclei candidati all’affido viene realizzata mediante appositi corsi di preparazione. Questi, gestiti dai servizi e dalle associazioni delle famiglie affidatarie in integrazione, sono coordinati dall’Amministrazione Provinciale, che ha il compito di promuoverli e di monitorarne la programmazione.

Percorso di Conoscenza e Valutazione della Disponibilità:
Il percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità ha lo scopo di valutare tutti quegli aspetti del nucleo familiare necessari a stabilirne l’idoneità come famiglia affidataria. (Composizione, storia, contesto socio-ambientale, caratteristiche personali di ogni componente, modalità di relazione interna al nucleo, competenze genitoriali, motivazione dell’interesse per l’affido e atteggiamento dei figli nei confronti di questa esperienza.
Il sentimento di solidarietà della famiglia affidataria verso la famiglia naturale e il rispetto del legame tra il bambino ed i propri genitori, influisce sul benessere psicologico del bambino e sulla sua autostima, che ne risulta rinforzata. Pertanto, affinché l’affido funzioni e sia una risorsa per il bambino in difficoltà,è importante che la famiglia affidataria comprenda e sia solidale rispetto al progetto di aiutare a recuperare, nella famiglia d'origine, le risorse e le capacità per poter riaccogliere il proprio bambino. Il bambino stesso sente l’esigenza di mantenere ed alimentare questo duplice legame di appartenenza. E’ pertanto estremamente importante che la famiglia sia realmente disponibile ad accogliere e prendersi cura per un tempo limitato di un bambino in difficoltà, con la consapevolezza della sofferenza suscitata dal necessario distacco, e a sostenere contemporaneamente la sua famiglia d’origine.

Il percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità è realizzato dall’equipe centralizzata specialistica attraverso:
•Colloqui individuali e di coppia
•Una visita domiciliare
•Dichiarazione scritta di idoneità o meno all’affido, con specificazione della tipologia di accoglienza più adeguata per la famiglia affidataria in questione
•Iscrizione del nucleo nell’anagrafe provinciale.

http://affido.altervista.org/Percorso.html

differenza tra affido e adozione!!!....

Per quanto siano entrambi strumenti per attenuare e risolvere situazioni di disagio e sofferenza dei bambini, affido e adozione non devono essere confusi!
L’affido è temporaneo; l’adozione dura tutta la vita.
Nell’affido vengono mantenuti i rapporti con la famiglia di origine; l’adozione
comporta la cessazione di ogni legame con i genitori naturali.

http://www.possoaffidarmi.it/diffaffidoadozione.html

che cos'è l'affido??.....

L'affido familiare è un provvedimento temporaneo mediante il quale un minore viene accolto presso una famiglia, o affidato ad una singola persona, nel caso in cui la famiglia di origine sia in una fase di difficoltà e non riesca a garantire il soddisfacimento dei bisogni del minore. I motivi per cui viene generalmente adottato questo provvedimento sono legati a problemi familiari quali malattia, detenzione, motivi di tossicodipendenza o di ordine educativo, che possono manifestarsi in casi di incuria o violenza al minore da parte di familiari.
L'istituto è regolamentato dalla Legge n.184 1983 come modificata dalla Legge n.149 2001.Nel caso in cui non sia possibile procedere all'affidamento familiare, il minore in stato di necessità può essere affidato a comunità. In questi casi si parla di affidamento di minori in strutture. La Legge 28 marzo 2001, n. 149 ha decretato la chiusura degli orfanotrofi al 31 dicembre 2006. Pertanto, per questi casi di affidamento, la legge attuale prevede che il minore venga accolto in strutture di tipo familiare, come le case famiglia.

L'affidamento familiare può essere:

Residenziale: quando il bambino trascorre con gli affidatari giorno e notte pur mantenendo rapporti periodici con la propria famiglia.
Questa tipologia di affidamento è disciplinata dalla legge 184/83 così come modificata dalla legge 149/2001 e prevede due tipi di affidamento:

Consensuale: si realizza con il consenso della famiglia d'origine. I genitori riconoscono le loro difficoltà e accettano di affidare, in accordo con il Servizio sociale, per il tempo necessario, il figlio ad un'altra famiglia che percepiscono solidale con loro. È un atto impegnativo e faticoso che implica un rapporto di fiducia reciproca.
Il provvedimento di affido è predisposto dal Comune ed è reso esecutivo dal Giudice Tutelare che ne controlla la regolarità.

Giudiziale: viene disposto dal Tribunale per i Minorenni e realizzato dal Comune, di norma quando manca il consenso della famiglia d'origine. Deve esserci a monte una situazione di grave disagio e di rischio per il minore.

Diurno: il bambino trascorre con la famiglia affidataria parte della giornata, ma alla sera torna a casa dai suoi genitori; esistono anche affidamenti educativi diurni in cui l'affidatario si reca a casa del minore per svolgere attività di ri-socializzazione e di sostegno scolastico. Il progetto di affidamento diurno si propone l'intento di mantenere il bambino nel proprio domicilio.
A Torino, inoltre, sono state sperimentate forme diurne di affidamento e di sostegno alla genitorialità in cui l'aiuto da parte della famiglia solidale viene esteso a tutta la famiglia del bambino in difficoltà (Progetto "Dare una famiglia ad un'altra famiglia", approvato con Deliberazione della Giunta Comunale del 4/11/2003 n. mecc.
2003/08933).
http://www.comune.torino.it/casaffido/
http://it.wikipedia.org/wiki/Affido_familiare

lunedì 16 novembre 2009

Ecco il mio blog!!!!.....

Ciao a tutti!!!!!!!!!!! Ho voluto creare questo blog per raccontare a tutti cos'è l'affido familiare e che possibilità può essere per un bambino che si trova a vivere nella famiglia naturale con difficoltà. Mi sta a cuore questo tema perchè io, in prima persona, ho vissuto questa esperienza da figlia affidataria poichè sono stata in affido presso una famiglia per 10 anni e dopo la maggiore età ho scelto di rimanere con loro poichè la considero la MIA FAMIGLIA. Tutt'ora sono felice per l'esperienza che sto vivendo e se sono così è grazie a chi mi ha accolta come se fossi figlia loro. Per questo motivo ci tengo che tutti capiscano cos'è l'affido e quali sono i suoi aspetti più importanti.......